Favoriti dal bel tempo percorriamo un itinerario un pò più lungo del precedente. I primi raggi di sole illuminano la collina da Brione s/M. verso Orselina. Saliamo la via Eco e giungiamo alla Piazza di Rocco per proseguire a destra sul sentiero che dopo cento metri si inoltra nel bosco pianeggiante della Collina Alta offrendo larghi squarci di veduta sul golfo locarnese, grazie all’aspetto semi spoglio autunnale degli alberi. Scendendo leggermente incontriamo un piccolo edificio, la Capela Rota, in località ”Selva della Limosina”. Fu riattata pochi anni or sono a testimonianza del fervore religioso di un tempo.
Una mappa allestita dal geometra Giovanni Fontana nel 1851 documenta questa costruzione denominata Cappella dei “Presmie”, soprannome di una famiglia Brionese. Il sentiero sale e giunge ad un caratteristico ponte di stile romanico, che scavalca il torrente Navegna: come fa notare Leo Marcollo nel suo libro ”La mia Brione” fu costruito nell’anno 1760. Prima d’allora esisteva una rudimentale costruzione in grosse travi di castagno appoggiate da una sponda all’altra ricoperte da lastroni di pietra.
Testimonianze dell’epoca affermano che attraverso questa via si trasportarono con non poca fatica le campane della chiesa di Mergoscia. Davanti a noi una scalinata di un’ottantina di rudimentali scalini ci impegnano nella salita. Giunti in cimascorgiamo un nucleo di case ed un piccolo ristorante ”Al Matro” conosciuto per la buona cucina e gestitoda diversi anni da Claudio Meschini. Proseguiamo fino in Val Resa, punto panoramico dei più meravigliosi. Una grande croce di ferro, illuminata di notte e visibile da tutta la regione sottostante, venne posata nel 1934. Poco lontano si trova una chiesetta di costruzione più recente (1970), dove all’aperto il sabato durante l’estate viene celebrata una funzione religiosa.
A pochi passi dalla croce il grotto “Al Ritrovo”: è rimasto con le caratteristiche di un tempo, gestito da Gabriella Rüef, che cucina succulenti piatti ticinesi. Giunti ad un piccolo nucleo di case il sentiero continua e conduce a Viona, piccolo monte un tempo pascolo di mucche ed oggi luogo di residenze estive. Il tragitto prosegue nel bosco e all’uscita vediamo una distesa pianeggiante: siamo arrivati al Monte di Lego. Siamo sorpresi dalla grande apertura di questo pianoro. Alla nostra destra, leggermente sopraelevata, una chiesetta è rivolta verso sud. Siamo ad un’altitudine di 1150 metri. Davanti a noi un laghetto attira la nostra attenzione. L’incontro con un amico di vecchia data, Remo Ferriroli, ci rallegra e ci dà l’opportunità di conoscere le origini del laghetto, che confina con la sua casetta. Racconta che nell’epoca glaciale tutta l’alta Valle Verzasca era ricoperta dai ghiacci come pure questo monte. Ne sono testimonianza ancora oggi gli enormi massi erratici sparsi qua e là. Allento sciogliersi dei ghiacciai si formarono tre laghetti, ormai da tempo prosciugati.
Le uniche tracce glaciali rimaste a testimonianza sono le zone paludose e le torbiere. “Nel 1966 racconta Remo Ferriroli iniziai gli scavi per creare un biotopo su una superficie di circa 250 metri quadrati. La profondità non era superiore agli 80 centimetri. Visti i risultati positivi, nel 1976 scavai fino a trovare roccia e raggiungere una profondità di circa 2,5 metri. L’acqua immessa è sorgiva e lo completai con erbe acquati che che diedero quel tocco di naturalezza di laghetto montano. In sintesi – prosegue – ho creato, con largo con senso degli amici, quanto gia’esisteva molti anni fa.” Ci mostra una vecchia fotografia in cui si scorge il perimetro di tre laghetti oggi scomparsi. Abbellire un paesaggio come questo gli fu cosa facile viste le sue conoscenze professionali.
Arrivati a destinazione l’appetito, dopo due ore e mezzo di cammino si fa sentire. Ci spostiamo di pochi metri e troviamo la capanna di Lego. Una costruzione risalente al 1890, in pietra viva, anticamente adibita a stalla, ristrutturata nel 1970 e destinata a grotto. Proprietaria dello stabile è la parrocchia di Mergoscia. Ad accoglierci il guardia no Enrico, che gentilmente ci dà il benvenuto. Un buon pasto ci ristora e ci mette in allegria. Riammiriamo lo stupendo panorama sulla Valle Verzasca, sul Piano di Magadino e sul massiccio del Monte Rosa. Il pomeriggio proseguiamo verso l’Alpe di Cardada.
Di buona lena intraprendiamo ancora un’ora di cammino. Il tratto è in salita, ma dopo breve tempo arriviamo a Fontai. Attraversiamo una zona boschiva e scendendo lievemente in travediamo la piana dell’Alpe Cardada. Ci troviamo ora ad un’altezza di circa 1490 metri. La costruzione massiccia in sasso evidenzia la struttura primitiva di una stalla in cui veniva no custodite le mucche. Tutt’attorno un largo pascolo. Rimasto di nome, ”Stallone”, ma non di fatto, è ora un’accogliente ristorante con ampia terrazza panoramica. La gerenza della capanna è stata affidata da tempo ad Anita e Luciano, che ci invitano a entrare. All’interno, in un ambiente tipicamente montano e sobrio, spicca un grande camino. Affaticati dal lungo tragitto, ci con cediamo una bevanda fresca. Ci spostiamo poi all’esterno per goderci l’ultimo sole della giornata. Decidiamo di rientrare in funivia, che raggiungiamo in un’ora circa, seguendo un comodo sentiero che costeggia la montagna. Alla stazione della funivia, dopo breve attesa, ci abbassiamo silenziosamente verso Orselina. Un’escursione con molte soddisfazioni, degna d’essere proposta come una delle più belle della regione.
Fonte: Tessiner Zeitung (documento).